Felicità di conoscere e desiderio di esistere! questa è l'arma vincente contro una vita sacrificata e sofferta, contro una vita decisa da altri e vincolata all'apatia.. questa è la pillola magica che apre gli occhi e fa largo a una nuova vita.. una vita autonoma e indipendente! "una vita del dopo di noi".


Con umiltà e professionalità, cerchiamo di darVi degli spunti, delle chiavi di lettura per essere all'altezza del grande compito che la vita vi chiede ogni giorno. Seguiti quotidianalmente dal Professor Nicola Cuomo e il suo staf, all'avanguardia nella Pedagogia Speciale, cercheremo di rispondere alle vostre domande.



Ci auguriamo che il blog sia di vostro gradimento e aiuto, e vi invitiamo a partecipare attivamente alle nostre discussioni.




Risponderemo a problemi di qualsiasi natura, legate alla disabilità, a casa, a scuola, per strada, nella vita. Se sei un genitore, un familiare, un'insegnante, un'amico, una persona che vive a contatto con la disabilità e hai una questione da porci, quì sentititi libero di farlo. Ci sentiremmo onorati nel dare una mano.

giovedì 16 dicembre 2010

Compito: imparare a memoria la filastrocca. AIUTO!



ATTIVITÀ: compito a casa: imparare a memoria la filastrocca sulla città.

IL CASO: siamo in un centro di recupero scolastico, dove i bambini delle classi elementari (con diversi problemi o di relazione o di lingua o di comprensione) vengono aiutati da volontari nello svolgimento dei compiti a casa.
R. è una bambina nigeriana che non è da molto in Italia e conosce poco la lingua ma non presenta difficoltà nella comunicazione e nella comprensione. Deve imparare a memoria per il giorno dopo una filastrocca sulla città.
La bambina fa fatica a ricordare e non riesce a comprendere bene il senso della filastrocca.
Il volontario fa del suo meglio per spiegarle il contenuto del testo e dopo un po di tempo l'impresa viene compiuta, R. ne capisce il senso ma non è ancora capace di ricordarla.
Dopo un totale di un'ora e mezzo (il tempo a disposizione del centro) R. arriva a conoscere solo la prima strofa su un totale di quattro.

INTERVISTA ALLA BAMBINA:
- Che cosa non riesci a capire? non riesco a capire tutte le parole che sono scritte. Non le ho mai sentite e sono difficili da pronunciare!
- Ti va di scoprire insieme a me queste parole tanto difficili? si, mi piacerebbe ma così perdiamo tempo e dopo non riesco a impararla e la maestra dopo si arrabbia. Dobbiamo fare in fretta perché è già tardi!
- Lo hai mai detto alla maestra che non riesci a impararla perché ci sono troppe parole difficili? si ci ho provato e lei mi ha detto che è vero che ci sono parole difficili ma che io devo andarle a cercare sul dizionario così imparo anche nuove parole. è facile per lei ma io non riesco a fare tutto.. già ci metto una vita a ripetere!
- ho capito, ma noi ora proviamo a vedere queste parole insieme e poi ripetiamo! vediamo se conoscendo tutte le parole riesci ad essere più veloce ok!

CONSIDERAZIONI:
Il terrore nelle poesie da imparare a memoria è da sempre l'incubo peggiore per ogni studente! Se non altro perché risulta all'alunno come un attività obbligata e brutta dalla quale non poter apprendere nulla se non il ribrezzo per l'italiano.
la memorizzazione di una filastrocca viene vista solo come un ripetere infinito di una sequenza di parole non bene identificate, private quasi di senso. Spesso sono così difficili da creare incertezza in chi le deve riprodurre.
qual è lo scopo del memorizzare un testo? il renderlo indelebile nelle menti dei fanciulli?
Se fosse davvero questo il motivo allora mi viene da dire non è questo il modo di procedere!
Non è facendolo ripetere fino allo sfinimento che si valorizza un testo, occorrebbe invece partire da una lettura condivisa del testo medesimo e reinterpretarlo secondo diverse letture (drammatizzazioni, divisione in sequenze, ..) seguendo una didattica più attiva in cui il bambino si senta parte integrante e non semplice riproduttore.
Altro scopo potrebbe essere l'esercitare la memoria stessa allenandola con la memorizzazione di testi. Questo scopo abbiamo visto però che non viene soddisfatto da tutti gli alunni allo stesso modo (vedi il caso di R.), si può dire anzi che questa metodologia d'azione non sempre risulta la più adatta anche se è sicuramente quella più utilizzata!
Non sarebbe meglio utilizzare una metodologia ludica per ovviare tutte queste problematiche? poniamo ad esempio il gioco, ben conosciuto, del memory. Riadattato può essere molto efficace per la memorizzazione; sfruttando una divisione in squadre equilibrate si possono costruire diversi memory a tema da riutilizzare nel gioco insieme. Non solo si eserciterebbe la memoria ma si farebbe anche scoperta di altre qualità e competenze, come il lavoro di squadra e tutte quelle abilità manuali necessarie per la messa appunto del gioco.

Parliamo ora un po di R. e delle sue reazioni;
Nella breve intervista fatta alla bambina emerge da subito la sua difficoltà nei confronti di questo compito che percepisce come impossibile per le sue capacità. R. è intimorita dalle parole, bloccata dal loro significato misterioso. Ha timore del giudizio dell'insegnante, tanto che il suo interesse non è più capire e apprendere ma tanto più fare in fretta e ottimizzare i tempi per favorire la memorizzazione.
Risulta chiaro che un'attività del genere non è funzionale a quel grande scopo che ci siamo posti; promuovere la voglia e il desiderio di conoscere per una didattica fondata sulle competenze.

Che noia!

ATTIVITA': Classe prima elementare, insegnante di matematica, argomento: il numero 6 e 7. Il lavoro consiste nel disegnare un 6 e un 7 giganteschi, con rispettivamente 6 e 7 palloncini, e poi scrivere per due righe: 6  6  6 ... e SEI SEI SEI SEI... e così anche con il 7.
Molto tradizionale come lezione, poco "costruita" insieme ai bambini, considera come "tabula rasa" i bambini, come scatole vuote da riempire. In realtà durante la ricreazione ho osservato i bambini giocare, giocavano a nascondino, sapevano tutti contare almeno fino a 20.

IL CASO: C'è un bambino A. che comportamentalmente è molto bravo, ma la maestra non capisce perchè non sta più al passo della classe, è lentissimo, dà la colpa al fatto che forse lui ha difficoltà con i numeri, e poi molto fantasiosamente dice che è colpa degli antibiotici che ha preso quando era malato "ora dico alla mamma di non darteli più!".
Scrive una lettera, un numero, e poi pensa ad altro, si distrae, guarda fuori, è visibilmente annoiato. L'ho osservato per tutta la lezione e l'interpretazione mi è abbastanza chiara: si annoia! Non ha più quel desiderio, quella motivazione, quel piacere di conoscere!

INTERVISTA AL BAMBINO: Ad un certo punto chiedo al bambino con tono molto tranquillo "come mai non lavori?" e non risponde, poi chiedo "ti stai annoiando?" e lui "sì, non mi piace fare questo, io so già contare!" Dopo un po' mi fa due disegnini simili ma non uguali e mi chiede "qual è la differenza?" Si entusiasma a fare questa cosa, è divertito, contento, lui è già oltre il fare numeri.
Gli chiedo "che cosa è che ti piacerebbe imparare a scuola?" e lui con un sorriso grandissimo mi dice "imparare come è nata la terra" questo dimostra quanto il suo apprendere abbia bisogno di senso reale e di globalità, i numeri possono essere inseriti in questa globalità? Certamente! Ma non con una modalità così banale e trasmissiva. Perchè non viene canalizzata positivamente questa curiosità? Forse è più facile così per l'insegnante.

"Bisogna scegliere tra una scuola nella quale è facile insegnare per il maestro e una scuola nella quale è facile apprendere per l'allievo" L. Tolstoj.

EMOZIONE DI CONOSCERE E COSTRUZIONE DELLE CONOSCENZE. Bisogna trasmettere non la motivazione pura e semplice, (es. i numeri sono utili per questo e quest'altro) che a volte può anche non essere "viva" nei bambini, ma il desiderio e l'emozione di conoscere in una dimensione più globale. E soprattutto si deve partire dalle conoscenze pregresse dei bambini!
Il bambino deve capire lo scopo perchè sta facendo questo lavoro. Che scopo può percepire il bambino che scrive così ripetitivamente questi numeri ricopiandoli dalla lavagna, semplicemente perchè oggi è stato deciso dall'insegnante che si fa il 6? Perchè devo scrivere 6? Forse in quella circostanza il bambino prova più emozione a scoprire che cosa può succedere se questo 6 non lo scrive...

QUAL E' LO SCOPO? Se lo scopo di questo insegnamento è scoprire che dopo il 5 c'è il 6, e fare capire quanto vale 6, basta chiederlo ai bambini o osservarli durante giochi spontanei (es. nascondino per la ricreazione) o finalizzati (per scoprire se hanno questa abilità). Sicuramente comunque se non hanno interiorizzato il concetto del numero 6, non lo interiorizzeranno copiando passivamente alla lavagna!!
Se lo scopo è di fargli imparare a scrivere il numero 6 l'insegnante potrebbe farli lavorare giocando. Esempio: dire che oggi si impareranno a scrivere i numeri e dargli come iniziale supporto (poi da mettere nel quaderno) delle schedine che ad ogni numero scritto corrispondano tot elementi (1 x ... 2 x x .... 3 x x x .... 4 x x x x ... 5 x x x x x ...). Poi fare giochi come per esempio "il bottegaio sordo-muto" (a coppie, uno è il bottegaio e uno è il cliente) che per fare capire quanti pezzi di pane, scatole, ecc vogliamo dobbiamo scriverglielo (es. 6 scatole di tonno, 2 fagioli, ecc, e possono essere utilizzati simbolicamente i regoli, es. il pane è il regolo arancione, ecc.). Apprendimento in un ambiente divertente e ludico, dove il numero è collegato al concreto.

mercoledì 8 dicembre 2010

Dislessia

Da qualche tempo, girando sui gruppi web dedicati al mondo scuola, si può notare che si parla molto di DISLESSIA.

Accesa è l'attenzione su questa tematica soprattutto da quando è entrata in vigore la legge n 170 dell'otto ottobre 2010, sulla definizione e riconoscimento di quest'ultima.

Sono numerosi i video e articoli reperibili in rete.

Noi ve ne proponiamo uno, tra i tanti, sperando possa esservi d'aiuto e chiarimento.


per chi volesse invece consultare la legge può leggerla quì;
http://www.aiditalia.org/upload/gazzetta_ufficiale_n_244_legge_170.pdf



Dislessia, la definizione:

La dislessia è una sindrome classificata tra i Disturbi Specifici d'Apprendimento (DSA), la sua principale manifestazione consiste nella difficoltà che hanno i soggetti colpiti a leggere velocemente e correttamente ad alta voce e/o scarse abilità nella scrittura (ortografia). Tali difficoltà non possono essere ricondotte a insufficienti capacità intellettive, a mancanza di istruzione, a cause esterne o a deficit sensoriali.
Dato che leggere è un complesso processo mentale, la dislessia ha svariate espressioni. Questa sindrome sembra strettamente legata alla morfologie stessa del cervello. La dislessia NON è una malattia o un problema mentale. Secondo una definizione recente la dislessia è una disabilità dell'apprendimento di origine neurobiologica.
Non è possibile apprendere la lettura, la scrittura o il calcolo aritmetico nei normali tempi e con i normali metodi di insegnamento.
Se questo problema non viene identificato nei primi anni della scuola primaria, le conseguenze possono risultare di una certa gravità.

lunedì 6 dicembre 2010

Valorizzare le competenze, intervista a un'insegnante di 1^ primaria.

Come vengono valorizzate le competenze dei bambini in questa classe?

Noi tendiamo a trascurare le competenze, nel senso che facciamo molto recupero per i bimbi che vediamo un po' più deboli negli apprendimenti, piuttosto che potenziare i bimbi molto capaci, ma perchè purtroppo la nostra scuola è un po' organizzata così. Abbiamo anche bimbi stranieri e quindi cerchiamo sempre di trascinare anche loro a livello della classe, e però quelli più bravi magari sono lì che aspettano perchè hanno già finito. Però valorizzare è difficile, poi in una classe prima non si può parlare già di competenze, aldilà di sapere leggere e scrivere... insomma si arriva lì.




Osservazioni
Purtroppo il pensiero di molti insegnanti, e il loro modo di agire, si fonda sul dover lavorare sui deficit e non sulle competenze dei bambini. Se un bambino ha difficoltà a leggere, allora bisogna fargli leggere tantissime volte le sillabe, le parole, la stessa storia per 10 volte, e così via. Il risultato? Sicuramente portare il bambino ad odiare la lettura!
Si potrebbe invece partire con una diversa motivazione, per esempio non di dover leggere sempre la stessa storia, ma leggere un messaggio reale scritto da un compagno per lei/lui. E poi rispettare i suoi tempi, non bombardandolo di esercizi sulla lettura, ma sviluppando prima competenze nel quale riesce meglio (per esempio scrittura, disegno, cooperazione per risoluzione di un problema), e fare leggere qualcun altro al posto suo. Quando sarà motivato e pronto sarà molto più semplice e più bello "scalare la montagna" e fare un po' di fatica per imparare a leggere.

Il secondo elemento interessante in questa intervista è "nella classe prima non si può parlare di competenze", questa frase equivale a dire che l'esperienza vissuta dai bambini non ha importanza e non serve a niente, vuol dire considerare i bambini una "tabula rasa", i bambini di 6 anni non sanno fare niente. Equivale a cancellare un enorme potenziale di possibilità di costruire insieme il sapere, partendo dai vissuti dei bambini.

Un caso: l'autoritratto e il bambino bloccato.


Riflessioni su un caso..
"Siamo in una classe mista dell'infanzia con bimbi di quattro e cinque anni, e lavoriamo sul progetto annuale dell'autoritratto che prevede che ogni mese tutti i bambini facciano un proprio autoritratto, per poterne vedere lo sviluppo nell'arco dell'anno scolastico. Siamo a Novembre, per cui viene richiesto il terzo ritratto.
Molti bambini, persino quelli più piccoli, non sembrano avere problemi e procedono con l'attività; ma mi accorgo che A. è bloccato, continua a guardare il foglio bianco rimanendo assolutamente immobile, quasi assente. Mi avvicino e gli chiedo il motivo della sua inattività e mi risponde che non sa da dove iniziare. Gli rispondo di provarci e pensare a come aveva lavorato sullo stesso compito la volta scorsa, cercando in lui una qualche evocazione.
Mi allontano e vado a controllare come aveva lavorato sugli altri autoritratti, per vedere se aveva avuto problemi anche le volte precedenti (non vi erano). Torno da lui, notando che il foglio era ancora bianco. gli propongo allora di iniziare insieme, cercando così di rendere il foglio meno bianco. Lo porto a riflettere sui componenti del corpo e vedendo che non vi era un feedback positivo decido di allontanarlo dal foglio e dalla matita e di porlo davanti allo specchio per poter vedere e descrivere con più cognizione. Sembra funzionare, ritorniamo quindi dal foglio e cerchiamo di riprodurre ciò che poco prima avevamo visto e commentato. Si blocca di nuovo.
Questa volta, però, aggiunge; "io non ci riesco a farlo tante volte".
Rimango un po spiazzata, tuttavia dopo un attimo di esitazione decido di insistere e con un po di incertezza riusciamo a completare l'attività."

L'insegnante, a una domanda esplicita sull'accaduto, dice: "A. è un bambino inattivo, abituato in tutto ad avere "la pappa pronta" per cui non è abituato a riflettere su ciò che fa"

Nostre osservazioni
Sarebbe essenziale sapere se le volte precendenti il bambino ha lavorato da solo o dietro suggerimenti di qualcuno.
L'obbiettivo del progetto è vedere le trasformazioni del proprio corpo nel corso del tempo, e probabilmente il bambino si potrebbe essere bloccato perchè ha intuito che il disegno debba essere differente da quello dello scorso mese, ma forse in così poco tempo lui si vede ancora uguale, e questa paura di sbagliare potrebbe bloccarlo, la sua frase "io non riesco a farlo tante volte" forse si riferisce a questo.
Spesso le insegnanti, solitamente involontariamente, trasmettono il messaggio che è meglio dire e fare quello che la maestra vuole, e non ciò che realmente si pensa sia giusto. Il bambino in questo caso potrebbe essersi reso conto che doveva cambiare qualcosa rispetto al disegno precedente sennò non andava bene, ma lui si continuava a vedere uguale e per questo potrebbe essersi bloccato.

Per quanto riguarda il commento dell'insegnante;
probabilmente lei fa riferimento a quel tanto spesso vissuto "effetto magia dei fenomeni" che vede il bambino completamente all'oscuro delle realtà velate delle cose che lo circondano, portandolo a credere per esempio che le uova nascono dal frigo o che esistano mucche viola come quelle rappresentate nella pubblicità della cioccolata. Fa quindi riferimento a un fenomeno purtroppo sempre più frequente nei fanciulli, sempre meno abituati a riflettere sulle cose e ad avere sempre le cose pronte per l'uso.

all'interno del P.O.F un'osservazione fondamentale..

"TUTTI DIVERSAMENTE UGUALI,
TUTTI UGUALMENTE DIVERSI"
 

Con queste parole ha inizio il P.O.F di un circolo didattico. Una premessa lodevole e di grande importanza; essa ci pone da subito in uno scenario immaginario dove ogni persona è valorizzata per quello che è e non più come ciò che dovrebbe essere. Valorizzare le diversità, dare a tutti opportunità di sviluppo evitando tuttavia l'omologazione.

giovedì 2 dicembre 2010

L'EFFETTO PIGMALIONE: Profezie che si autorealizzano... le aspettative!

Oggi vi parlerò di un "effetto" molto comune a scuola (e non solo): L'effetto Pigmalione, deriva dagli studi sulla “profezia che si autorealizza” il cui assunto di base può essere così sintetizzato: se gli insegnanti credono che un bambino sia meno dotato lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri; il bambino interiorizzerà il giudizio e si comporterà di conseguenza; si instaura così un circolo vizioso per cui il bambino tenderà a divenire nel tempo proprio come l’insegnante lo aveva immaginato.

Quando le persone hanno aspettative positive nei confronti dei loro interlocutori sembrano crare un clima socio-emotivo più caldo intorno a loro.
Oltre che osservabile in alcuni episodi circoscritti e facilmente descrivibili, l'effetto Pigmalione, è rintracciabile, a ritroso, nella storia dei bambini, è un effetto che si nota nei risultati, a medio o lungo termine.
Una frase tipica che lo denuncia è "proprio come avevo detto io, Giacomo era così anche in prima..." oppure... "avevamo intuito bene quel bambino ha un sacco di problemi, cosa ti avevo detto?"
Quando si ritiene che un bambino sia "bravo" o "intelligente" gli si perdona qualsiasi problema ritenendo sia solo un piccolo incidente di percorso, per esempio se farà una marachella o sbaglierà una verifica non gli verrà trasmessa preoccupazione perchè si penserà "può succedere, ma sono sicura che bravo com'è non accadrà più". Ma purtroppo è vero anche il contrario, un bambino ritenuto sempre "pestifero" o "poco dotato cognitivamente" qualsiasi piccolo successo sarà valutato come qualcosa di occasionale, e se per esempio combinerà poi una marachella gli verrà detto "ah tanto lui è così... te l'ho detto troppe volte..." "non sei responsabile".

La soluzione? Non etichettare mai un bambino (soprattutto negativamente). Il bambino è in una fase nella quale è in continuo sviluppo ed evoluzione, e dobbiamo renderci conto che se lo vediamo sempre allo stesso modo vuol dire che lo abbiamo etichettato, e più che proporre strategie su quel bambino, bisogna fare un lavoro su se stessi e cercare di vederlo con occhi diversi.


 L'esperimento dell'effetto Pigmalione: 
L'équipe guidata dal ricercatore americano Robert Rosenthal ideò un esperimento nell'ambito della psicologia sociale, sottoponendo un gruppo di alunni di una scuola elementare californiana ad un test di intelligenza. Successivamente selezionò, in modo casuale e senza rispettare l'esito e la graduatoria del test, un numero ristretto di bambini e informò gli insegnanti che si trattava di alunni molto intelligenti.
Rosenthal, dopo un anno, ripassò nella scuola, e verificò che i suoi selezionati, seppur scelti casualmente, avevano confermato in pieno le sue previsioni migliorando notevolmente il proprio rendimento scolastico fino a divenire i migliori della classe.
Questo effetto, in questo caso benefico, si avverò grazie all'influenza positiva degli insegnanti che riuscirono a stimolare negli alunni segnalati da Rosenthal una viva passione e un forte interesse per gli studi.
"L'effetto Pigmalione" può manifestarsi non solamente nell'ambito scolastico, ma anche in altri contesti, come in quello lavorativo nel rapporto fra capi e dipendenti oppure in quello familiare nelle relazioni fra genitori e figli e in tutti quei contesti dove si sviluppino rapporti sociali. Quindi le aspettative possono condizionare la qualità delle relazioni interpersonali e il rendimento dei soggetti.
Diteci la vostra opinione, e se avete avuto esperienza di questo fenomeno raccontatecela!