Felicità di conoscere e desiderio di esistere! questa è l'arma vincente contro una vita sacrificata e sofferta, contro una vita decisa da altri e vincolata all'apatia.. questa è la pillola magica che apre gli occhi e fa largo a una nuova vita.. una vita autonoma e indipendente! "una vita del dopo di noi".


Con umiltà e professionalità, cerchiamo di darVi degli spunti, delle chiavi di lettura per essere all'altezza del grande compito che la vita vi chiede ogni giorno. Seguiti quotidianalmente dal Professor Nicola Cuomo e il suo staf, all'avanguardia nella Pedagogia Speciale, cercheremo di rispondere alle vostre domande.



Ci auguriamo che il blog sia di vostro gradimento e aiuto, e vi invitiamo a partecipare attivamente alle nostre discussioni.




Risponderemo a problemi di qualsiasi natura, legate alla disabilità, a casa, a scuola, per strada, nella vita. Se sei un genitore, un familiare, un'insegnante, un'amico, una persona che vive a contatto con la disabilità e hai una questione da porci, quì sentititi libero di farlo. Ci sentiremmo onorati nel dare una mano.

giovedì 16 dicembre 2010

Compito: imparare a memoria la filastrocca. AIUTO!



ATTIVITÀ: compito a casa: imparare a memoria la filastrocca sulla città.

IL CASO: siamo in un centro di recupero scolastico, dove i bambini delle classi elementari (con diversi problemi o di relazione o di lingua o di comprensione) vengono aiutati da volontari nello svolgimento dei compiti a casa.
R. è una bambina nigeriana che non è da molto in Italia e conosce poco la lingua ma non presenta difficoltà nella comunicazione e nella comprensione. Deve imparare a memoria per il giorno dopo una filastrocca sulla città.
La bambina fa fatica a ricordare e non riesce a comprendere bene il senso della filastrocca.
Il volontario fa del suo meglio per spiegarle il contenuto del testo e dopo un po di tempo l'impresa viene compiuta, R. ne capisce il senso ma non è ancora capace di ricordarla.
Dopo un totale di un'ora e mezzo (il tempo a disposizione del centro) R. arriva a conoscere solo la prima strofa su un totale di quattro.

INTERVISTA ALLA BAMBINA:
- Che cosa non riesci a capire? non riesco a capire tutte le parole che sono scritte. Non le ho mai sentite e sono difficili da pronunciare!
- Ti va di scoprire insieme a me queste parole tanto difficili? si, mi piacerebbe ma così perdiamo tempo e dopo non riesco a impararla e la maestra dopo si arrabbia. Dobbiamo fare in fretta perché è già tardi!
- Lo hai mai detto alla maestra che non riesci a impararla perché ci sono troppe parole difficili? si ci ho provato e lei mi ha detto che è vero che ci sono parole difficili ma che io devo andarle a cercare sul dizionario così imparo anche nuove parole. è facile per lei ma io non riesco a fare tutto.. già ci metto una vita a ripetere!
- ho capito, ma noi ora proviamo a vedere queste parole insieme e poi ripetiamo! vediamo se conoscendo tutte le parole riesci ad essere più veloce ok!

CONSIDERAZIONI:
Il terrore nelle poesie da imparare a memoria è da sempre l'incubo peggiore per ogni studente! Se non altro perché risulta all'alunno come un attività obbligata e brutta dalla quale non poter apprendere nulla se non il ribrezzo per l'italiano.
la memorizzazione di una filastrocca viene vista solo come un ripetere infinito di una sequenza di parole non bene identificate, private quasi di senso. Spesso sono così difficili da creare incertezza in chi le deve riprodurre.
qual è lo scopo del memorizzare un testo? il renderlo indelebile nelle menti dei fanciulli?
Se fosse davvero questo il motivo allora mi viene da dire non è questo il modo di procedere!
Non è facendolo ripetere fino allo sfinimento che si valorizza un testo, occorrebbe invece partire da una lettura condivisa del testo medesimo e reinterpretarlo secondo diverse letture (drammatizzazioni, divisione in sequenze, ..) seguendo una didattica più attiva in cui il bambino si senta parte integrante e non semplice riproduttore.
Altro scopo potrebbe essere l'esercitare la memoria stessa allenandola con la memorizzazione di testi. Questo scopo abbiamo visto però che non viene soddisfatto da tutti gli alunni allo stesso modo (vedi il caso di R.), si può dire anzi che questa metodologia d'azione non sempre risulta la più adatta anche se è sicuramente quella più utilizzata!
Non sarebbe meglio utilizzare una metodologia ludica per ovviare tutte queste problematiche? poniamo ad esempio il gioco, ben conosciuto, del memory. Riadattato può essere molto efficace per la memorizzazione; sfruttando una divisione in squadre equilibrate si possono costruire diversi memory a tema da riutilizzare nel gioco insieme. Non solo si eserciterebbe la memoria ma si farebbe anche scoperta di altre qualità e competenze, come il lavoro di squadra e tutte quelle abilità manuali necessarie per la messa appunto del gioco.

Parliamo ora un po di R. e delle sue reazioni;
Nella breve intervista fatta alla bambina emerge da subito la sua difficoltà nei confronti di questo compito che percepisce come impossibile per le sue capacità. R. è intimorita dalle parole, bloccata dal loro significato misterioso. Ha timore del giudizio dell'insegnante, tanto che il suo interesse non è più capire e apprendere ma tanto più fare in fretta e ottimizzare i tempi per favorire la memorizzazione.
Risulta chiaro che un'attività del genere non è funzionale a quel grande scopo che ci siamo posti; promuovere la voglia e il desiderio di conoscere per una didattica fondata sulle competenze.

Che noia!

ATTIVITA': Classe prima elementare, insegnante di matematica, argomento: il numero 6 e 7. Il lavoro consiste nel disegnare un 6 e un 7 giganteschi, con rispettivamente 6 e 7 palloncini, e poi scrivere per due righe: 6  6  6 ... e SEI SEI SEI SEI... e così anche con il 7.
Molto tradizionale come lezione, poco "costruita" insieme ai bambini, considera come "tabula rasa" i bambini, come scatole vuote da riempire. In realtà durante la ricreazione ho osservato i bambini giocare, giocavano a nascondino, sapevano tutti contare almeno fino a 20.

IL CASO: C'è un bambino A. che comportamentalmente è molto bravo, ma la maestra non capisce perchè non sta più al passo della classe, è lentissimo, dà la colpa al fatto che forse lui ha difficoltà con i numeri, e poi molto fantasiosamente dice che è colpa degli antibiotici che ha preso quando era malato "ora dico alla mamma di non darteli più!".
Scrive una lettera, un numero, e poi pensa ad altro, si distrae, guarda fuori, è visibilmente annoiato. L'ho osservato per tutta la lezione e l'interpretazione mi è abbastanza chiara: si annoia! Non ha più quel desiderio, quella motivazione, quel piacere di conoscere!

INTERVISTA AL BAMBINO: Ad un certo punto chiedo al bambino con tono molto tranquillo "come mai non lavori?" e non risponde, poi chiedo "ti stai annoiando?" e lui "sì, non mi piace fare questo, io so già contare!" Dopo un po' mi fa due disegnini simili ma non uguali e mi chiede "qual è la differenza?" Si entusiasma a fare questa cosa, è divertito, contento, lui è già oltre il fare numeri.
Gli chiedo "che cosa è che ti piacerebbe imparare a scuola?" e lui con un sorriso grandissimo mi dice "imparare come è nata la terra" questo dimostra quanto il suo apprendere abbia bisogno di senso reale e di globalità, i numeri possono essere inseriti in questa globalità? Certamente! Ma non con una modalità così banale e trasmissiva. Perchè non viene canalizzata positivamente questa curiosità? Forse è più facile così per l'insegnante.

"Bisogna scegliere tra una scuola nella quale è facile insegnare per il maestro e una scuola nella quale è facile apprendere per l'allievo" L. Tolstoj.

EMOZIONE DI CONOSCERE E COSTRUZIONE DELLE CONOSCENZE. Bisogna trasmettere non la motivazione pura e semplice, (es. i numeri sono utili per questo e quest'altro) che a volte può anche non essere "viva" nei bambini, ma il desiderio e l'emozione di conoscere in una dimensione più globale. E soprattutto si deve partire dalle conoscenze pregresse dei bambini!
Il bambino deve capire lo scopo perchè sta facendo questo lavoro. Che scopo può percepire il bambino che scrive così ripetitivamente questi numeri ricopiandoli dalla lavagna, semplicemente perchè oggi è stato deciso dall'insegnante che si fa il 6? Perchè devo scrivere 6? Forse in quella circostanza il bambino prova più emozione a scoprire che cosa può succedere se questo 6 non lo scrive...

QUAL E' LO SCOPO? Se lo scopo di questo insegnamento è scoprire che dopo il 5 c'è il 6, e fare capire quanto vale 6, basta chiederlo ai bambini o osservarli durante giochi spontanei (es. nascondino per la ricreazione) o finalizzati (per scoprire se hanno questa abilità). Sicuramente comunque se non hanno interiorizzato il concetto del numero 6, non lo interiorizzeranno copiando passivamente alla lavagna!!
Se lo scopo è di fargli imparare a scrivere il numero 6 l'insegnante potrebbe farli lavorare giocando. Esempio: dire che oggi si impareranno a scrivere i numeri e dargli come iniziale supporto (poi da mettere nel quaderno) delle schedine che ad ogni numero scritto corrispondano tot elementi (1 x ... 2 x x .... 3 x x x .... 4 x x x x ... 5 x x x x x ...). Poi fare giochi come per esempio "il bottegaio sordo-muto" (a coppie, uno è il bottegaio e uno è il cliente) che per fare capire quanti pezzi di pane, scatole, ecc vogliamo dobbiamo scriverglielo (es. 6 scatole di tonno, 2 fagioli, ecc, e possono essere utilizzati simbolicamente i regoli, es. il pane è il regolo arancione, ecc.). Apprendimento in un ambiente divertente e ludico, dove il numero è collegato al concreto.

mercoledì 8 dicembre 2010

Dislessia

Da qualche tempo, girando sui gruppi web dedicati al mondo scuola, si può notare che si parla molto di DISLESSIA.

Accesa è l'attenzione su questa tematica soprattutto da quando è entrata in vigore la legge n 170 dell'otto ottobre 2010, sulla definizione e riconoscimento di quest'ultima.

Sono numerosi i video e articoli reperibili in rete.

Noi ve ne proponiamo uno, tra i tanti, sperando possa esservi d'aiuto e chiarimento.


per chi volesse invece consultare la legge può leggerla quì;
http://www.aiditalia.org/upload/gazzetta_ufficiale_n_244_legge_170.pdf



Dislessia, la definizione:

La dislessia è una sindrome classificata tra i Disturbi Specifici d'Apprendimento (DSA), la sua principale manifestazione consiste nella difficoltà che hanno i soggetti colpiti a leggere velocemente e correttamente ad alta voce e/o scarse abilità nella scrittura (ortografia). Tali difficoltà non possono essere ricondotte a insufficienti capacità intellettive, a mancanza di istruzione, a cause esterne o a deficit sensoriali.
Dato che leggere è un complesso processo mentale, la dislessia ha svariate espressioni. Questa sindrome sembra strettamente legata alla morfologie stessa del cervello. La dislessia NON è una malattia o un problema mentale. Secondo una definizione recente la dislessia è una disabilità dell'apprendimento di origine neurobiologica.
Non è possibile apprendere la lettura, la scrittura o il calcolo aritmetico nei normali tempi e con i normali metodi di insegnamento.
Se questo problema non viene identificato nei primi anni della scuola primaria, le conseguenze possono risultare di una certa gravità.

lunedì 6 dicembre 2010

Valorizzare le competenze, intervista a un'insegnante di 1^ primaria.

Come vengono valorizzate le competenze dei bambini in questa classe?

Noi tendiamo a trascurare le competenze, nel senso che facciamo molto recupero per i bimbi che vediamo un po' più deboli negli apprendimenti, piuttosto che potenziare i bimbi molto capaci, ma perchè purtroppo la nostra scuola è un po' organizzata così. Abbiamo anche bimbi stranieri e quindi cerchiamo sempre di trascinare anche loro a livello della classe, e però quelli più bravi magari sono lì che aspettano perchè hanno già finito. Però valorizzare è difficile, poi in una classe prima non si può parlare già di competenze, aldilà di sapere leggere e scrivere... insomma si arriva lì.




Osservazioni
Purtroppo il pensiero di molti insegnanti, e il loro modo di agire, si fonda sul dover lavorare sui deficit e non sulle competenze dei bambini. Se un bambino ha difficoltà a leggere, allora bisogna fargli leggere tantissime volte le sillabe, le parole, la stessa storia per 10 volte, e così via. Il risultato? Sicuramente portare il bambino ad odiare la lettura!
Si potrebbe invece partire con una diversa motivazione, per esempio non di dover leggere sempre la stessa storia, ma leggere un messaggio reale scritto da un compagno per lei/lui. E poi rispettare i suoi tempi, non bombardandolo di esercizi sulla lettura, ma sviluppando prima competenze nel quale riesce meglio (per esempio scrittura, disegno, cooperazione per risoluzione di un problema), e fare leggere qualcun altro al posto suo. Quando sarà motivato e pronto sarà molto più semplice e più bello "scalare la montagna" e fare un po' di fatica per imparare a leggere.

Il secondo elemento interessante in questa intervista è "nella classe prima non si può parlare di competenze", questa frase equivale a dire che l'esperienza vissuta dai bambini non ha importanza e non serve a niente, vuol dire considerare i bambini una "tabula rasa", i bambini di 6 anni non sanno fare niente. Equivale a cancellare un enorme potenziale di possibilità di costruire insieme il sapere, partendo dai vissuti dei bambini.

Un caso: l'autoritratto e il bambino bloccato.


Riflessioni su un caso..
"Siamo in una classe mista dell'infanzia con bimbi di quattro e cinque anni, e lavoriamo sul progetto annuale dell'autoritratto che prevede che ogni mese tutti i bambini facciano un proprio autoritratto, per poterne vedere lo sviluppo nell'arco dell'anno scolastico. Siamo a Novembre, per cui viene richiesto il terzo ritratto.
Molti bambini, persino quelli più piccoli, non sembrano avere problemi e procedono con l'attività; ma mi accorgo che A. è bloccato, continua a guardare il foglio bianco rimanendo assolutamente immobile, quasi assente. Mi avvicino e gli chiedo il motivo della sua inattività e mi risponde che non sa da dove iniziare. Gli rispondo di provarci e pensare a come aveva lavorato sullo stesso compito la volta scorsa, cercando in lui una qualche evocazione.
Mi allontano e vado a controllare come aveva lavorato sugli altri autoritratti, per vedere se aveva avuto problemi anche le volte precedenti (non vi erano). Torno da lui, notando che il foglio era ancora bianco. gli propongo allora di iniziare insieme, cercando così di rendere il foglio meno bianco. Lo porto a riflettere sui componenti del corpo e vedendo che non vi era un feedback positivo decido di allontanarlo dal foglio e dalla matita e di porlo davanti allo specchio per poter vedere e descrivere con più cognizione. Sembra funzionare, ritorniamo quindi dal foglio e cerchiamo di riprodurre ciò che poco prima avevamo visto e commentato. Si blocca di nuovo.
Questa volta, però, aggiunge; "io non ci riesco a farlo tante volte".
Rimango un po spiazzata, tuttavia dopo un attimo di esitazione decido di insistere e con un po di incertezza riusciamo a completare l'attività."

L'insegnante, a una domanda esplicita sull'accaduto, dice: "A. è un bambino inattivo, abituato in tutto ad avere "la pappa pronta" per cui non è abituato a riflettere su ciò che fa"

Nostre osservazioni
Sarebbe essenziale sapere se le volte precendenti il bambino ha lavorato da solo o dietro suggerimenti di qualcuno.
L'obbiettivo del progetto è vedere le trasformazioni del proprio corpo nel corso del tempo, e probabilmente il bambino si potrebbe essere bloccato perchè ha intuito che il disegno debba essere differente da quello dello scorso mese, ma forse in così poco tempo lui si vede ancora uguale, e questa paura di sbagliare potrebbe bloccarlo, la sua frase "io non riesco a farlo tante volte" forse si riferisce a questo.
Spesso le insegnanti, solitamente involontariamente, trasmettono il messaggio che è meglio dire e fare quello che la maestra vuole, e non ciò che realmente si pensa sia giusto. Il bambino in questo caso potrebbe essersi reso conto che doveva cambiare qualcosa rispetto al disegno precedente sennò non andava bene, ma lui si continuava a vedere uguale e per questo potrebbe essersi bloccato.

Per quanto riguarda il commento dell'insegnante;
probabilmente lei fa riferimento a quel tanto spesso vissuto "effetto magia dei fenomeni" che vede il bambino completamente all'oscuro delle realtà velate delle cose che lo circondano, portandolo a credere per esempio che le uova nascono dal frigo o che esistano mucche viola come quelle rappresentate nella pubblicità della cioccolata. Fa quindi riferimento a un fenomeno purtroppo sempre più frequente nei fanciulli, sempre meno abituati a riflettere sulle cose e ad avere sempre le cose pronte per l'uso.

all'interno del P.O.F un'osservazione fondamentale..

"TUTTI DIVERSAMENTE UGUALI,
TUTTI UGUALMENTE DIVERSI"
 

Con queste parole ha inizio il P.O.F di un circolo didattico. Una premessa lodevole e di grande importanza; essa ci pone da subito in uno scenario immaginario dove ogni persona è valorizzata per quello che è e non più come ciò che dovrebbe essere. Valorizzare le diversità, dare a tutti opportunità di sviluppo evitando tuttavia l'omologazione.

giovedì 2 dicembre 2010

L'EFFETTO PIGMALIONE: Profezie che si autorealizzano... le aspettative!

Oggi vi parlerò di un "effetto" molto comune a scuola (e non solo): L'effetto Pigmalione, deriva dagli studi sulla “profezia che si autorealizza” il cui assunto di base può essere così sintetizzato: se gli insegnanti credono che un bambino sia meno dotato lo tratteranno, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri; il bambino interiorizzerà il giudizio e si comporterà di conseguenza; si instaura così un circolo vizioso per cui il bambino tenderà a divenire nel tempo proprio come l’insegnante lo aveva immaginato.

Quando le persone hanno aspettative positive nei confronti dei loro interlocutori sembrano crare un clima socio-emotivo più caldo intorno a loro.
Oltre che osservabile in alcuni episodi circoscritti e facilmente descrivibili, l'effetto Pigmalione, è rintracciabile, a ritroso, nella storia dei bambini, è un effetto che si nota nei risultati, a medio o lungo termine.
Una frase tipica che lo denuncia è "proprio come avevo detto io, Giacomo era così anche in prima..." oppure... "avevamo intuito bene quel bambino ha un sacco di problemi, cosa ti avevo detto?"
Quando si ritiene che un bambino sia "bravo" o "intelligente" gli si perdona qualsiasi problema ritenendo sia solo un piccolo incidente di percorso, per esempio se farà una marachella o sbaglierà una verifica non gli verrà trasmessa preoccupazione perchè si penserà "può succedere, ma sono sicura che bravo com'è non accadrà più". Ma purtroppo è vero anche il contrario, un bambino ritenuto sempre "pestifero" o "poco dotato cognitivamente" qualsiasi piccolo successo sarà valutato come qualcosa di occasionale, e se per esempio combinerà poi una marachella gli verrà detto "ah tanto lui è così... te l'ho detto troppe volte..." "non sei responsabile".

La soluzione? Non etichettare mai un bambino (soprattutto negativamente). Il bambino è in una fase nella quale è in continuo sviluppo ed evoluzione, e dobbiamo renderci conto che se lo vediamo sempre allo stesso modo vuol dire che lo abbiamo etichettato, e più che proporre strategie su quel bambino, bisogna fare un lavoro su se stessi e cercare di vederlo con occhi diversi.


 L'esperimento dell'effetto Pigmalione: 
L'équipe guidata dal ricercatore americano Robert Rosenthal ideò un esperimento nell'ambito della psicologia sociale, sottoponendo un gruppo di alunni di una scuola elementare californiana ad un test di intelligenza. Successivamente selezionò, in modo casuale e senza rispettare l'esito e la graduatoria del test, un numero ristretto di bambini e informò gli insegnanti che si trattava di alunni molto intelligenti.
Rosenthal, dopo un anno, ripassò nella scuola, e verificò che i suoi selezionati, seppur scelti casualmente, avevano confermato in pieno le sue previsioni migliorando notevolmente il proprio rendimento scolastico fino a divenire i migliori della classe.
Questo effetto, in questo caso benefico, si avverò grazie all'influenza positiva degli insegnanti che riuscirono a stimolare negli alunni segnalati da Rosenthal una viva passione e un forte interesse per gli studi.
"L'effetto Pigmalione" può manifestarsi non solamente nell'ambito scolastico, ma anche in altri contesti, come in quello lavorativo nel rapporto fra capi e dipendenti oppure in quello familiare nelle relazioni fra genitori e figli e in tutti quei contesti dove si sviluppino rapporti sociali. Quindi le aspettative possono condizionare la qualità delle relazioni interpersonali e il rendimento dei soggetti.
Diteci la vostra opinione, e se avete avuto esperienza di questo fenomeno raccontatecela!

martedì 30 novembre 2010

COSA SONO IL DEFICIT D'ATTENZIONE E IPERATTIVITA' (ADHD, DDAI)?

hai un bambino con deficit d'attenzione e/o iperattività, e vuoi saperne di più?
sospetti che tuo figlio abbia questo problema, ma non ne sei sicuro?

visita questo sito http://www.educazione-emotiva.it/iperattivita.htm per saperne di più!

parola chiave: curiosità


Vi è mai capitato di osservare con attenzione una farfalla che si posa su un fiore e seguirne con minuziosità tutti i movimenti? Se vi è capitato, vi siete mai soffermati a riflettere sul perché di tale interesse?
La risposta è più semplice di quella che appare! Vi è un unico motivo infatti; la curiosità.
Nessuno ce lo impone, spontaneamente ci avviciniamo, naturalmente esitiamo a toccarla.

Quanto può essere efficace un apprendimento con le stesse caratteristiche?
Ogni bambino ha innato questo sentimento.. ce lo mostra anche la nota storia di Pinocchio, il piccolo burattino di legno, che spinto dalla sua vivace curiosità si spinge sempre più in là, lo rende attivo nella sua scoperta del mondo.




Per i bambini con deficit questo è presente allo stesso modo. La volontà di conoscere è già presente e chiede solo di essere alimentata.
Sta quindi nell'insegnante riuscire a trasmettere questa emozione.
Come? Con quali strategie?

Hai qualche esempio da proporci? Ti è capitato di sperimentare un metodo
ottimale per trasmettere questa emozione fondamentale,
che vuoi condividere con noi?
Possiamo discuterne insieme!

comprendere il problema per poterlo superare insieme..


Spesso nella didattica con i bambini con deficit si ha paura di muoversi in maniera troppo esplicita, col fine di nascondere il più possibile la problematicità con cui si viene a lavorare!
Occorre chiederci, però, quanto questo sia giusto e funzionale; è infatti vero è inconfutabile che per poter superare un ostacolo di qualsiasi entità, se ne deve conoscere innanzitutto l'esistenza e non di meno la natura.
Poniamo l'esempio semplice proposto nell'immagine, e cerchiamo in un secondo momento di riportarlo nell'ambito educativo-didattico.
La situazione ci rappresenta un individuo, che chiamiamo Dario, dinanzi a un punto critico; Dario deve attraversare il fosso (obiettivo) avendo a disposizione una corda che funge da ponte e il suo equilibrio (strumenti). Ora il nostro amico certamente prima di attraversare il fosso, sarà bene attento a valutarne tutte le variabili così da evitare di cadere. E' chiaro da subito che senza queste riflessioni le possibilità di Dario di riuscire nel suo compito si ridurrebbe radicalmente.

Proviamo ora a pensare a Dario come un bambino con deficit (ad esempio cieco). Con questa situazione Dario avrà molte situazioni critiche da affrontare, per questo motivo viene affiancato da un insegnante di sostegno il cui primario compito e di fornire a Dario quei strumenti basilari che lo conducano a sempre una maggiore autonomia.
Dario ha quindi a disposizione tutti gli strumenti per riuscire nei suoi obiettivi, tuttavia questo non può bastare se non accompagnato da una consapevolezza profonda della propria situazione.
Solo partendo da questa consapevolezza si può fondare una didattica cooperativa funzionale.


Lavorare sulle competenze e non sui deficit

Frequentemente la didattica cade nella trappola pregiudiziale che quando un bambino non possiede una abilità bisogna farlo esercitare specificamente in quella in cui non riesce. In tale dimensione si sottolinea l’errore, il deficit, la debolezza, il non sa fare trascinando il bambino in un vertice di insuccessi. Solitamente vengono usati esercizi ripetivi, senza senso, noiosi, senza finalità, portando inevitabilmente a scarsa motivazione e attenzione a talvolta anche rifiuto.
Risulta più efficace potenziare globalmente le capacità e le competenze cognitive del bambino, facendogli eseguire e/o implicandolo in attività che lui sa fare, in cui lui riesce, ed evolvere queste.
L’evoluzione delle competenze parteciperanno ad una maturazione cognitiva globale e la plasticità del cervello, avendo riferimento ad una organizzazione mentale, ad un sistema cognitivo più maturati, avrà una qualità complessiva più evoluta, questa maturità complessiva costituirà un’architettura mentale più competente e per il bambino sarà più facile imparare l’abilità che si faceva fatica ad acquisire.
Ad esempio se avete un bambino che trova molta difficoltà nell'azione dello scrivere, inutile farlo scrivere insistentemente... gli farò odiare la scrittura! Bisogna cercare di capire la natura della difficoltà, nel caso della scrittura potrebbe esser dovuta a un ipotonia (scarza forza muscolare nella mano, come solitamente hanno i bambini con sindrome di down) quindi intanto lo faccio esercitare per esempio ad impastare, tagliare con le forbici, ecc e  per il momento faccio scrivere a qualcun altro per lui e quando sarà pronto per scrivere lo farò scrivere e avrà piacere.

La scuola peggiore e la scuola migliore

La scuola peggiore si limita a individuare capacità e meriti fin troppo evidenti
La scuola migliore scopre capacità e meriti lì dove sembrava che non ce ne fossero

La scuola peggiore è quella che esclama "meno male ne abbiamo bocciati 7 finalmente abbiamo una bella classetta"
La scuola migliore è quella che dice "che bella classe, non ne abbiamo perso nemmeno uno!"

La scuola peggiore è quella che dice "qui si parla solo se interrogati"
La scuola migliore è quella che dice "qui si impara a fare domande"

La scuola peggiore è quella che dice "c'è chi è nato per zappare e c'è chi è nato per studiare"
La scuola migliore è quella che dimostra "questa è un'idea veramente stupida"

La scuola peggiore è quella che preferisce il facile al difficile
La scuola migliore è quella che alla noia del facile oppone la passione del difficile

La scuola peggiore è quella che dice "ho insegnato matematica io?" "Si!" "la sai la matematica tu?" "No, al posto!"
La scuola migliore è quella che dice "mettiamoci comodi e vediamo dove abbiamo sbagliato"

La scuola peggiore è quella che dice "tutto quello che impari deve quadrare con l'unica vera religione, quella che ti insegno io!"
La scuola migliore è quella che dice "qui si impara solo a usare la testa"

La scuola peggiore rispedisce in strada chi doveva essere tolto dalla strada e dalle camorre
La scuola migliore è quella che va in strada a riprendersi chi le è stato tolto

La scuola peggiore è quella che dice "ah come era bello quando i professori erano rispettati, facevano lezioni in santa pace, promuovevano il figlio del dottore e bocciava il figlio dell'operaio"
La scuola migliore se li ricorda bene quei tempi e lavora perchè non tornino più

La scuola peggiore è quella in cui essere assenti è meglio che essere presenti
La scuola migliore è quella in cui essere presenti è meglio che essere assenti


Domenico Starnone



Il bambino combina una "marachella"? Come comportarsi..

Il bambino combina una "marachella"? O qualcosa che non andava fatto in quella situazione?
Non bisogna dire semplicemente “non lo devi fare” o “lo devi fare” o chiedere “perché l’hai fatto?”. I bambini hanno bisogno di capire il perchè e di interiorizzarlo.
La soluzione è spiegargli il motivo (soprattutto se è la prima volta che succede!) dare dei suggerimenti di carattere tecnico operativo (sul come fare).
Pensate voi stessi nella situazione di avere di fronte a voi una persona da voi stimata e autoritaria (per esempio il capo dell’ufficio) che vi urla contro “non lo devi fareeee, capito?? Possibile che non ne fai una giustaaaaa..” tutto arrabbiato, anche se magari vi state chiedendo “perché? Che ho fatto di male?”, ma avreste il coraggio di dirglielo? Figuriamoci un bambino che vi considera una figura di riferimento!!!
Le soluzioni comportamentali per il bambino che non capisce il rimprovero sono due: o l’accondiscendenza / addomesticamento o il riproporsi della situazione (magari in altri contesti).



"Alla base della "saggezza" degli adulti c'è un intimo vissuto complesso e articolato, processi che non traspaiono dai nostri comportamenti, dalle nostre lezioni, sono dentro di noi. Per divenire saggi e apprendere sensatamente, i bambini necessitano di entrare intimamente nella situazione, di capire."

sabato 27 novembre 2010

Un'apprendimento fondato sull'ESSERE e non sull'APPARIRE!

 

Ivan Graziani - Pigro (1978)






Tu sai citare i classici a memoria
ma non distingui
il ramo da una foglia il ramo da una foglia Pigro!

Una mente fertile dici è alla base
ma la tua scienza
ha creato l'ignoranza ha creato l'ignoranza Pigro!

E poi le parolacce che ti lasci scappare
che servono a condire il tuo discorso d'autore
come bava di lumache stanno lì a dimostrare ch'è vero
è vero non si può migliorare
col tuo schifo di educazione
col tuo schifo di educazione
Pigro!

La capra per il latte la donna per le voglie
ma non ti accorgi
della noia che ha tua moglie
della noia che ha tua moglie
Pigro!


Tu castighi i figli in maniera esemplare
poi dici siamo liberi
nessuno deve giudicare nessuno deve giudicare
Pigro!

E poi le parolacce che ti lasci scappare
che servono a condire il tuo discorso d'autore
come bava di lumache stanno lì a dimostrare ch'è vero
è vero non si può migliorare
col tuo schifo di educazione
col tuo schifo di educazione
Pigro!



Abbiamo voluto cominciare il nostro blog con la canzone "Pigro" di Ivan Graziani, perchè troppo spesso a scuola (talvolta anche tra le mura domestiche) ci si comporta con i bambini da "Pigri", da persone come ci descrive il grande autore anticonformista.
Spesso sembra che si insegni ai bambini ad APPARIRE intelligenti e non a ESSERE intelligenti! Insegnare a leggere e scrivere, dire "grazie, prego, per favore", a sapere a memoria filastrocche e poesie, e imparare date, nomi e concetti a memoria.
Un apprendimento portato avanti con questa metodologia non può portare a uno sviluppo cognitivo del bambino; i bambini devono CAPIRE, devono ESPLORARE, devono dare UN SENSO e devono fare propri gli spazi in cui vivono. A cosa serve imparare tutto a memoria, se non ad apparire?

Ma la cultura, la lettura, la scrittura, ecc sono essenziali, e NON sono fenomeni che nascono nel bambino naturalmente, bisogna fare in modo che l'apprendimento sia organizzato in modo da portare uno sviluppo mentale. Per fare in modo che questo avvenga bisogna suscitare curiosità di apprendere, un'emozione di conoscere, così saranno portati a prestare grande attenzione. Ma come suscitare questi sentimenti?
Nella stesura di questo blog vi daremo qualche consiglio, per genitori e insegnanti, ovviamente da adattare al contesto e alla situazione (non esistono ricette!); in via preliminare, come ben potete immaginare, bisogna parlargli di qualche cosa che a loro interessa realmente, che trovino in ciò un'utilità e giovamento, e che sia un apprendimento non "calato dall'alto", ma costruito insieme.

Prendiamo ad esempio l'introduzione del concetto di numero: si potrebbe iniziare col far notare quanto siano importanti i numeri nella vita di tutti i giorni, e chiedere ai bambini di notare i luoghi e situazioni nei quali questi vengono usati (es. orologio, prezzi del supermercato, giorni del mese, ricette, bilancia, televisione, ecc) e partendo dalle loro informazioni, dalle loro conoscenze, arrivare a una definizione di numero condivisa da tutti (e non "calata dall'alto"!) e cercare di capire insieme la la loro funzionalità e utilità. Sicuramente conta molto anche la prossemica ovvero il tono di voce, l'aspettativa e la curiosità che userete per parlare di questo concetto.


Un insegnamento di tipo passivo porta a conformismo, accondiscendenza e assenza di desiderio di sperimentare, di rischiare, di produrre cambiamento. Pensandoci, è quello che si rimprovera tanto di non avere ai giovani d'oggi.

Chi siamo? Ci presentiamo!!

Siamo Veronica e Melania, due studentesse universitarie al secondo anno del corso di laurea di Scienze della Formazione primaria di Bologna.
Stiamo seguendo in queste settimane il corso di Pedagogia Speciale tenuto dal professor Nicola Cuomo e collaboratori, rinomati esperti nel campo dell'ingrazioni e inclusione delle personi disabili nel campo educativo.
E, su loro consiglio, abbiamo deciso di aprire questo blog dedicato a genitori e insegnanti, con lo scopo di dare qualche consiglio e essere d'aiuto nella risoluzione di problemi da voi esposti, facendo così da ponte tra l'Università e le agenzie educative (famiglia, scuola, ecc).

Ci auguriamo che il blog sia di vostro gradimento e aiuto, e vi invitiamo a partecipare attivamente alle nostre discussione.